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Cosa pensava Kant del piacere? (Bard)

Immanuel Kant pensava che il piacere fosse una sensazione soggettiva che non poteva essere oggettivamente determinata. Egli distingueva tra il piacere sensibile, che è un'esperienza immediata e fugace, e il piacere morale, che è un sentimento più profondo e duraturo.

Il piacere sensibile è determinato da fattori fisiologici e psicologici, e varia da persona a persona. È spesso associato a bisogni fisici o a desideri materiali. Kant pensava che il piacere sensibile non fosse una fonte di felicità autentica, poiché è fugace e può essere facilmente sostituito da un altro piacere.

Il piacere morale, invece, è determinato dalla conformità della nostra volontà alla legge morale. È un sentimento di soddisfazione che deriva dal fare ciò che è giusto e buono. Kant pensava che il piacere morale fosse la vera fonte di felicità, poiché è duraturo e non può essere sostituito da nulla.

In particolare, Kant sosteneva che il piacere morale è un sentimento di "stima di sé". Quando agiamo in modo moralmente virtuoso, ci sentiamo soddisfatti di noi stessi e del nostro valore come esseri umani. Questo sentimento di stima di sé è un vero piacere, poiché non è determinato da fattori esterni, ma dalla nostra stessa volontà.

Kant pensava che il piacere morale fosse la vera destinazione dell'uomo. Egli sosteneva che l'uomo è un essere razionale e morale, e che la sua felicità è possibile solo se vive in conformità alla legge morale.

In conclusione, Kant pensava che il piacere fosse una sensazione soggettiva che può essere sia sensibile che morale. Il piacere sensibile è fugace e non può essere una fonte di felicità autentica. Il piacere morale, invece, è duraturo e può portare alla vera felicità.



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Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio
Una prospettiva che ha portato alcuni a considerare i giudizi morali alla stregua di reazioni istintive è quella che assegna il ruolo fondamentale alle emozioni, mettendo in secondo piano o eliminando il ruolo della valutazione razionale. Da molti secoli alcuni filosofi hanno sostenuto che il giudizio morale scaturisce dall'emozione provocata dallo scenario che ci si pone dinanzi. Questa è stata la posizione di David Hume (Hume, 1739-1740; 1751), che recentemente ha trovato riscontri sperimentali autorevoli nelle osservazioni neuropsicologiche del gruppo di ricerca di Antonio Damasio e negli esperimenti di psicologia morale di Jonathan Haidt. All'estremo opposto si situava la tradizione razionalista, che considera il giudizio morale come un prodotto del ragionamento cosciente basato su principi espliciti espressi verbalmente (Kohlberg, 1981). Attualmente, quest'ultima posizione è stata ampiamente abbandonata, ma diversi gruppi di ricerca neuroscientifica considerano di grande importanza, nella formulazione del giudizio morale, anche gli aspetti cognitivi, pur senza eliminare il ruolo dell'emozione. Tuttavia, nell'accezione più recente, cognitivo non è sinonimo di razionale, ma comprende anche aspetti di analisi di cui il soggetto non è consapevole, come l'intuizione.

 

Il ruolo dell'emozione

 

Per dimostrare scientificamente che le emozioni svolgono un'azione causale nella formulazione dei giudizi morali, non è sufficiente evidenziare un'attivazione di aree cerebrali deputate all'analisi delle emozioni stesse. Infatti, l'osservazione che un'area cerebrale si attiva mentre il soggetto analizza un dilemma morale non implica che tale attività abbia un'influenza sull'esito del giudizio. Si potrebbe trattare di un'attivazione conseguente al giudizio appena formato.

 

Damasio si propose invece di valutare se i pazienti con un danno a un'area corticale implicata nell'analisi delle emozioni presentassero o meno un deficit di valutazione morale. Nei suoi primi studi in questo campo, analizzò il cranio di un paziente, Phineas Gage, che nel 1848 subì una lesione traumatica dei lobi frontali dell'encefalo. Le descrizioni cliniche su Phineas Gage riportavano un deficit nell'uso delle emozioni in alcune decisioni di comportamento sociale, mentre le capacità razionali erano intatte. Il laboratorio di Damasio localizzò il danno cerebrale alla corteccia prefrontale ventromediale (vmpfc) (Damasio et al., 1994). Studi recenti hanno confermato che la VMPFC svolge un ruolo di primo piano nella sensibilità emotiva e soprattutto nelle emozioni sociali. In uno studio esteso a più soggetti analizzati direttamente, il gruppo di Damasio ha dimostrato che, nei pazienti con una lesione alla VMPFC, in alcuni dilemmi morali prevalevano giudizi più utilitaristici rispetto a quelli formulati da soggetti di controllo (Koenigs et al., 2007). Questo fenomeno era limitato alle situazioni in cui una delle opzioni scatenava un'intensa risposta emozionale, che metteva in atto una forte sensazione di repulsione emotiva dell'atto che il soggetto avrebbe dovuto immaginare di compiere. Era come se i pazienti con lesione alla VMPFC non provassero tale avversione emotiva o non ne tenessero conto nei loro giudizi, che di conseguenza erano meno emotivi, più razionali e utilitaristici. Per tutti gli altri tipi di scenario morale non vi era differenza tra i pazienti e i soggetti sani. La dimostrazione che una lesione alla VMPFC, importante per l'analisi delle emozioni, modifica l'esito dei giudizi morali emotivamente coinvolgenti implica che alcuni elementi emotivi giocano un ruolo causale nel processo del giudizio.

 

Un'altra linea di evidenze a favore di un'azione delle emozioni nel giudizio morale deriva da esperimenti di psicologia compiuti dal gruppo di ricerca di Jonathan Haidt (Haidt, 2001; 2007). Egli afferma che i giudizi morali nascono solitamente da intuizioni di cui non siamo coscienti. I soggetti riescono comunque a dare una spiegazione razionale delle loro scelte, ma questa è sovente una costruzione post hoc, che non ha esercitato nessun ruolo nella decisione.

 

Haidt ha dimostrato che l'intuizione morale è fortemente influenzata dalle emozioni, senza che il soggetto ne abbia coscienza. Ad esempio, il disgusto, evocato tramite odori sgradevoli o mediante suggestione post-ipnotica, provoca un aumento della severità con cui viene giudicata un'azione altrui. Tuttavia, Haidt afferma che le emozioni sono una spinta a decidere in una determinata direzione, ma non ci possono forzare in modo incondizionato. Vi sono meccanismi razionali e, soprattutto, sociali che ci possono permettere di inibire le risposte dettate dall'intuizione.

La relazione emozioni/razionalità nei giudizi morali

 

Secondo la teoria di Damasio, l'attivazione della VMPFC dovrebbe portare a scelte morali guidate dagli aspetti emotivi. Diversi studi di imaging funzionale hanno indagato le aree cerebrali che mostravano aumenti di attività durante la ponderazione degli elementi in gioco al fine della formulazione di un giudizio morale. Il gruppo di ricerca di Joshua Greene sottopose ai soggetti dilemmi morali con diversi gradi di contenuti emotivi e razionali (Greene et al., 2004). Nei casi che comportavano un maggiore coinvolgimento emotivo personale si osservava una maggiore attivazione della VMPFC, in accordo con il suo ruolo nella valutazione degli elementi emozionali. Nei giudizi utilitaristici e per decisioni morali particolarmente difficili, in cui il soggetto valutava a lungo prima di scegliere la soluzione che riteneva più giusta, si attivava maggiormente l'area dorsolaterale della corteccia prefrontale (dlpfc), coinvolta nel pensiero puramente razionale. Sulla base di questi risultati, Greene ipotizzò che i giudizi personali siano ampiamente guidati da risposte emotivo-sociali, mentre quelli impersonali dipenderebbero da processi cognitivi. Dal contrasto tra l'attivazione della VMPFC nei giudizi con una forte componente emotiva rispetto all'attività della DLPFC, legata invece alla valutazione razionale, Greene e colleghi hanno proposto che il risultato del giudizio morale nasca dalla competizione tra aree cerebrali emotive e cognitive (Greene et al., 2004). Quindi, anziché riconoscere un ruolo del ragionamento cosciente, in cui entrano in gioco fattori emotivi e considerazioni razionali, la teoria di Greene suggerisce una concezione meccanicistica, in cui l'attività delle aree cerebrali emotive compete con quella delle aree razionali: la decisione dipenderebbe dalla vittoria dell'area che riesce a prendere il sopravvento sulle altre.


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Ich kann nicht rappen
Komm her und hör mir zu,
Ich muß dir da mal was erklären,
Ich weiß du tust die Rap-Musik
Nicht sonderlich verehren,
Ich würd' dich gern überzeugen,
Mit einem Rapmusikgedicht,
Würd' ich mich tief vor dir verbeugen,
Doch rappen kann ich nicht.
Ich kann nicht rappen!
Manchmal übe ich rappen,
Weil ich enthusiastisch bin,
Doch das bringt gar nichts
Weil da andere fantastisch sind,
Ich kann versuchen, was ich will
Doch es wird mir nicht gelingen,
Ich weiß was Besseres: ich kann singen!
Lalala
Singen kann nicht jeder,
Aber fast jeder kann reden,
Viele reden über's Wetter,
Andere reden über jeden,
Wenn die Töne von sich geben,
Müssen andere oft brechen,
Deshalb müssen solche Leute
Ihre Lieder meistens sprechen
Sprechen, sprechen
Ihr wißt: viele schöne,
Junge Frauen habe ich schon gesehen,
Daß die auf dauerndes Gequatsche
Überhaupt nicht steh'n
Weiß ich genau, deshalb müssen Männer
Frauen manchmal zwingen,
Das ist mir noch nie passiert
Ich kann singen!
Lalala


Come riconoscere il principe azzurro
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